sabato 1 marzo 2014

La prima volta in terra Colombiana

La prima volta in terra Colombiana





Prove di "passo colombiano"
NOTA: Le foto riportate in questo servizio non si riferiscono nè all’epoca dei fatti raccontati nè ai luoghi, in quanto non eravamo provvisti di macchina fotografica ma solo di cinepresa superotto.


Maggio 1976. Telefonata interurbana da Venezia a Milano


 io: “Pronto, Paolo , sono io; allora siamo d’accordo di fare le vacanze assieme in Calabria quest’anno ?”

 Paolo: “Mi dispiace ,Roberto, ma ……abbiamo deciso di partire tutti per la Colombia”

 io : E quanto state?

 Paolo: Penso per sempre; mi hanno offerto un lavoro molto interessante e allora il cuore oltre l’ostacolo e via.

 Stupito, amareggiato e anche un pò preoccupato, augurando ogni bene, ho riposto la cornetta , ed un attimo dopo ho frugato nel mio poco fornito archivio mentale dove potesse essere la Colombia . Solo una carta geografica mi ha aiutato a capire. E’ importante ricordare che all’ epoca dei fatti tutte le distanze erano dilatate e per cercare di ridurle i costi erano altissimi. Telefonare e dire qualche stupida frase di rito, costava; inviare una lettera o cartolina significava aspettare un mese per avere risposta, di modo che, se necessitava qualche informazione , quando questa fosse arrivata ,oramai non sarebbe più servita. E allora ho dovuto darci dentro con gli atlanti , le enciclopedie e con tutto quello che mi avrebbe permesso di saperne di più. Oggi giorno tutte le volte che sentiamo parlare di questo stato , riceviamo notizie infauste, pensate come potevano essere all’epoca. “Non c’è soluzione” , abbiamo pensato io e Stefy, che all’epoca non avevamo figli, ”Il prossimo anno andiamo” . E cosi fu. L’anno seguente, siamo partiti da Milano Malpensa con la compagnia aerea VIASA, venezuelana, che ora è fallita. L’aereo in questione partiva alle 23,30 e noi ,per prudenza, siamo partiti alle 07,00 del mattino con il risultato che alle 10,30 dello stesso mattino eravamo già all’aeroporto. Ci accompagnarono con la PRINZ , i miei genitori , che ora non ci sono più, ma che ricordiamo sempre con grande affetto. Il viaggio Milano- Bogotà sarebbe durato circa 18 ore. Quello Venezia –Milano più l’attesa, 16 . Passare 16 ore in aeroporto è una cosa devastante, con la prospettiva di doverne passare altre 18 in aereo. La soddisfazione è stata quella che non abbiamo perso il volo. Finalmente è l’ora. Saliamo la scaletta che porta all’ingresso della fusoliera e mi rendo conto che questo mezzo è enorme e ,a stima ,anche pesantissimo ,in più pieno di persone e di bagagli………si alzerà? I miei fantasmi e le mie inquietudini iniziarono ad affollarsi . Non posso dire lo stesso per Stefy il cui atteggiamento era quello di quando sale nell’ autobus che porta a Mestre. Con le mani sudate mi allaccio la cintura e, cosa della quale ancor oggi mi vergogno, prendo un cuscino e dopo averlo posto nel ventre , mi metto in posizione fetale, come avevo letto doversi fare in caso di disastro aereo. Lascio libera la fantasia di chi eventualmente mi sta leggendo , per immaginare il mio stato d’animo durante il volo. Finalmente, dopo 18 ore esatte i flaps si distendono totalmente e il ventre dell’aereo partorisce l’ enorme carrello facendolo scuotere in tutte le sue parti. Tutti in silenzio, compresi gli aiutanti di volo. La prua buca le nuvole e sotto di noi , come in un enorme nastro trasportatore ,scorre l’altipiano di Bogotà, con i suoi campi, le piccole case ,le mandrie di cavalli, le vacche e le serre dove vengono coltivati i fiori, famosi ed esportati in tutto il mondo. E’ pomeriggio inoltrato; il sole è seminascosto dalle nuvole che di colpo si colorano di porpora e altrettanto improvvisamente diventano minacciose. Il clima in questo altipiano che si trova a 2650 metri di altitudine è estremamente variabile. Le temperature possono arrivare anche agli 0°C di notte e ai 17/20 °C di giorno. A tratti piovoso. Dall’alto l’erba è di un verde brillante come da noi in primavera appena iniziata ed il sole la cui inclinazione è totalmente diversa rispetto alle nostre latitudini, la impreziosisce con dei riflessi particolari. Però non abbiamo ancora toccato terra. L’aeroporto internazionale e intercontinentale “EL DORADO” ha una pista molto più lunga , essendo l’aria più rarefatta a queste altitudini , diminuisce la portanza e quindi l’aereo deve atterrare a velocità maggiore. Finalmente le ruote toccano .Il mezzo sembra non fermarsi mai. Istintivamente i piedi premono nel predellino della poltrona antistante come per frenare. Poi finalmente i motori si smorzano e tutto finisce. Siamo in Colombia……ancora vivi!!! Ora quali sorprese ci aspettano? Gli indigeni avranno le piume dell’uccello del paradiso in testa o copriranno le pudenda con foglie di palma o peggio ancora avranno la punta del naso sporca di polvere bianca e gli occhi allucinati? Lo scopriremo nella prossima puntata, l’importante per adesso è trovare un bagno per fare pipì perché con tutte le emozioni me la sto facendo sotto.



 Bogotà




Notturna della città
Un lungo corridoio unisce il piazzale del parcheggio aerei con la sala ritiro bagagli e dogana. E’ una specie di tunnel , alle pareti delle teche illuminate e al loro interno copie dei manufatti precolombiani i cui originali si trovano al museo dell’oro di Bogotà. La penombra del tunnel rotta da queste oasi di luce rende il tragitto molto suggestivo. Inizio a chiedermi come un paese cosi sottosviluppato o definito del terzo mondo e soprattutto grande consumatore di droghe, potesse avere tanto buon gusto da meravigliare anche noi europei. Propaganda ,ho pensato; è un abbaglio che vogliono dare al turista che arriva per la prima volta. L’aspetto dei doganieri , a dire il vero, era un pò inquietante. Scuri di pelle ma non negri, capelli corvini, occhiali ray ban con lenti specchiate.


Posto di controllo stradale

L’aspetto ? quello dei servizi segreti della polizia di stato sudamericana. Con i passaporti in mano, un pò timorosi,(noi italiani per natura abbiamo sempre la sindrome della coscienza sporca), sottostiamo alle domande che i doganieri ci pongono, rispondendo loro” pere” mentre magari ci stavano chiedendo” mele” ma tant’è , non sapendo la lingua, ci siam dovuti arrangiare. Con grande gentilezza ci ridanno i passaporti augurandoci buona permanenza non prima di averli impreziositi con un grosso timbro che suggellava la nostra entrata nel paese. Anche questa è fatta , ci siamo detti, e ci avviamo verso l’uscita. Attraverso la vetrata notiamo che la stessa è congestionata da una folla che si sbraccia , alcuni con cartelli, altri con fazzoletti , venditori di dolciumi mischiati a facchini con carretti ,taxisti che premurosamente offrono i loro servigi, però nessuno portava piume in testa ne aveva il naso sporco di polvere bianca e tutti vestivano come noi se non in modo migliore. In mezzo a questa ressa rumorosa vedo spuntare la testa e le braccia rassicuranti di Paolo e subito dopo quelle di Enrica che erano venuti ad accoglierci . Baci abbracci e occhi lucidi e poi via nella metropoli tentacolare. Bogotà all’epoca contava circa 5 Ml. di abitanti , distribuiti  in un’area vastissima.


Notti brave
 Il centro città con le sue strade a più corsie, i suoi grattacieli , hotel , cinema ,teatri e locali di ogni tipo ; la periferia con case di basso rango generalmente abbarbicate sulle pendici delle montagne che circondano la città. In uno di questi lussuosissimi hotel alloggiamo per due giorni , il tempo per riposare e vedere qualche cosa della città. L’entrata è di quelle a porta girevole con l’usciere vestito con l’uniforme che sembrava un grand’ammiraglio. La hall, una piazza d’armi ,illuminata da enormi lampadari . Poltrone e divanetti in ogni luogo. Al fondo il bancone della reception ed, esattamente dalla parte opposta, seminascosto da piante tropicali ,il bar, dove festeggiamo, con un bel brindisi, il nostro incontro. Nel 1977 , nei ristoranti , alberghi o locali di vario tipo , si usava ,ora fortunatamente non più, chiamare il cameriere con un battito di mani e nulla poteva essere impossibile da realizzare. Qualsiasi richiesta veniva esaudita. Se alle tre di notte ti veniva la voglia di mangiare un piatto di ostriche o un piatto indiano, bastava chiamare il servizio e questo esaudiva il tuo desiderio, senza maledire te , i tuoi avi e tutta la tua generazione , almeno non in modo evidente. E cosi, frastornati dal fuso orario, alle due di notte ci siamo svegliati ,( in Italia sarebbero state le nove di mattina), e abbiamo ordinato la colazione, certi che il buio ancora incombente fosse dovuto alla latitudine. Pochi minuti e due camerieri con due enormi carrelli ci portano la colazione che avrebbe saziato una squadra di calcio affamata. Un mazzo di fiori , offerto dalla direzione , ci dava il benvenuto. Verso le 06.30 ora locale il sole spazzando via quel buio che non era certo dovuto alla latitudine ,inizia a dar colore alle cose. Le strade ancora semideserte iniziano ad animarsi con i primi operatori ecologici, (sarebbero i cari e vecchi spazzini), che con grande professionalità, e non è una battuta, puliscono minuziosamente ogni angolo di strada con strumenti all’avanguardia e cioè con scopa di saggina paletta e carretto con il bidone delle immondizie trasportato a mano. Posso assicurare che le strade erano perfettamente pulite anche perché , e l’ho notato più di una volta , anche le persone che sembravano non appartenere ad un ceto sociale elevato, quando dovevano disfarsi di una carta o altro oggetto, cercavano il cestino, per riporre le cose. La colazione che già avevamo fatto qualche ora prima era anche parzialmente digerita e vedendo il buffet con tante belle cose allineate e coperte, sarà per l’aria fina sarà per la gioventù , ci siamo strafogati di nuovo promettendoci che avremmo rinunciato al pranzo. Con questi buoni intendimenti iniziamo il nostro breve tour per la città. Il museo dell’oro è la prima tappa. Attorniati da guardie armate si entra in una stanza completamente buia, la porta alle spalle si chiude ed improvvisamente si accendono le luci delle teche contenenti i preziosi manufatti.Questi sono copie che ci siamo portati in Italia.

Copie di monili
 Lo sfavillio degli stessi illuminati dalle luci sapientemente indirizzate su di essi rende tutto ancor più suggestivo. La fattura è fine ed elegante e soprattutto di grande modernità. Tutti del periodo precolombiano, ( sinceramente non so datare il periodo perché non conosco quando i colombi sono apparsi sulla terra).

Quando beltà splendea negl' occhi suoi ridenti e fuggitivi( 28 anni)
 Altra piccola escursione è stata quella a Monserrate, un’altura ,raggiungibile con una cabinovia, che sovrasta la città che permette una visione panoramica e d’insieme della zona . La chiesa di sale costruita all’interno di vecchie miniere a Zipaquirà è stata un’altra delle nostre mete. Bella e suggestiva. Mi dispiace essere così stringato nelle descrizioni di questi luoghi ma per chi ha visto la Cappella Sistina o la chiesa di San Pietro o qualche Caravaggio buttato la nella chiesetta all’entrata di Piazza del Popolo a Roma, con tutto il rispetto è difficile che si possa emozionare per altre cose. L’emozione invece c’è stata per noi quando la sera rientrando da queste piccole e brevi incursioni culturali, vediamo in lontananza nel mezzo di una radura delle luci e oltre le luci un forte vociare e musica a tutto volume. Piatto ricco mi ci ficco , abbiamo pensato, dove c’è fumo ci sarà anche l’arrosto e così ci siamo avvicinati. Era una specie di casa colonica con all’interno un saloon con tanto di bancone lucido per il lancio delle birre e all’esterno un selciato lungo e stretto con una moltitudine di persone ai lati .

Cavallo in allenamento
 Cavalli da tutte le parti e ovviamente anche i cavalieri. Accortisi che eravamo stranieri siamo stati letteralmente aggrediti , in senso buono, portati all’interno , ed invitati alla festa che consisteva nel giudicare quale cavaliere sarebbe uscito vincitore nel far fare al suo destriero “IL PASSO COLOMBIANO”. Questa pratica consiste nel far trottare il cavallo nel selciato di modo che il ritmo degli zoccoli sullo stesso sia il più regolare possibile. Sembra facile ma non lo è ; un lungo allenamento deve precedere queste gare ed i cavalli sono di razza selezionata , costosi e bellissimi. E così, inaspettatamente, tra stuzzichini, birra e balli passiamo un serata tipica tra gente cordiale e allegra. Altro sulla città non saprei dire . Forse per dare opinioni meno superficiali delle nostre necessiterebbe viverci. Ora ci attende il viaggio non breve e non facile in auto da Bogotà a Medellin; 450 Km su e giù per la Ande, attraversando il fiume Magdalena, e questa è un’altra storia …. A presto.

1 commento:

  1. Anche se sono situazioni che abbiamo vissuto assieme,sentendole raccontare le sto rivivendo e mi emoziono.Bravo

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